Gargano e dintorni: Venerdì Santo alla scoperta delle fracchie


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Venerdì santo: paese che vai… tradizione che trovi!

La morte in croce del Figlio di Dio per tutti noi non può lasciare indifferente nessuno: suggestive e molto diverse tra loro sono le espressioni di fede della settimana santa.

Dalla postazione garganica dalla quale vi scriviamo, vi raccontiamo i particolari del venerdì santo di un piccolo paese arroccato tra le asperità tipiche di questo territorio: San Marco in Lamis.

 “Nel grido lancinante dello Stabat,
ecco di nero avanza la Dolente,
trafitto il petto, gli occhi mesti al cielo.
Manda ansiosa baci la vecchietta,
la madre innalza lo spaurito infante,
l’oscuro zappatore scopre il capo.
E a notte, folle pegno di speranza,
inchiodata di stelle sul Celano
s’erge la croce e sanguina di luce”

La poesia riesce a dare quel tocco in più e in queste veloci pennellate del sammarchese Filippo Tardio è racchiuso tutto l’incanto delle “fracchie”: tradizione antica ed etimologia incerta per dire fiaccole, che illuminano la strada all’Addolorata che cerca il Figlio. La devozione alla Vergine Dolente è la base, infatti senza di lei le fracchie accese non hanno senso: il fuoco, la croce, il dolore di una Madre diventa nel buio del venerdì santo un tutt’uno inscindibile.

Ma …..che dire delle fracchie? Ribadiamo: fiaccole! Erano il sistema che a San Marco la gente usava per illuminare l’oscurità della notte. Un documento del 1490 riporta il divieto di “girare per il paese senza fracchia dal suono della campana della sera fino all’alba”; non si sa come fossero costruite, si trattava però di torce, con materiale vegetale che bruciava e che vennero utilizzate fino all’avvento dell’illuminazione pubblica.

Anche nelle processioni della Settimana Santa, in particolare in quelle del giovedì santo, i fedeli utilizzavano le fracchie: in una pubblicazione del 1923 di Vocino si legge: “veramente pittoresco e singolare è l’uso delle fracchie a San Marco in Lamis.  Le fracchie sono dei grossi tronchi di alberi resinosi, tagliati a cono, infarciti in appositi tagli alla base da altri pezzi di legno e cerchiati di ferro, preparati da più mesi e bene essiccati al caldo dei forni per renderli meglio infiammabili. Vengono portate accese, una da ognuno, da oltre trecento contadini precedenti in due fila la statua dell’Addolorata: spettacolo profondamente suggestivo, visione che dà la sensazione di una città in fiamme.

Fino al 1925 le fracchie accese erano di piccole dimensioni ed erano portate a braccio o sulle spalle, ma in quell’anno, una nobildonna del luogo, donna Michelina Gravina, chiese ai suoi garzoni di costruire una fracchia grande da montare e trasportare su ruote. Nascono così le fracchie che il venerdì santo sfilano per le strade di San Marco.

La loro costruzione in passato coinvolgeva le abilità dei tanti boscaioli e carbonai e ancora oggi quest’arte, tramandata oralmente, è appresa guardando pazientemente gli anziani che selezionano il legno giusto per lo scheletro, lo sezionano, lo svuotano  e lo imbracano in robusti cerchi di ferro, lo immobilizzano sui carrelli ed infine lo “farciscono” con la legna più adatta.  La conoscenza delle caratteristiche dei vari tipi di legname è cruciale perché da essa dipende la buona riuscita di tutto il lavoro.

I boschi che circondano San Marco sono ricchi di castagni: è proprio questo il legno giusto per l’ossatura, deve essere dritto e senza nodi; per il riempimento, invece, il castagno brucia male, meglio la quercia o il carpino. L’estremità della fracchia viene riempita da legno verde, più pesante che arde lentamente e dà stabilità a tutta la struttura, al centro invece viene posizionato il legno stagionato, mentre per la zona della bocca si ricorre a legna ben secca che possa bruciare subito, senza fumo ed uniformemente. L’accensione della fracchia è la verifica del lavoro e porta con sé un brivido di trepidazione: stracci e paglia pieni di combustibile vengono inseriti tra gli spazi della legna e, lungo le strade, il capofracchia deve essere bravo anche a sfruttare la canalizzazione del vento per tenere la fiamma allegra.

È il giorno della Passione, è l’imbrunire: nella fresca, quasi fredda aria della sera, a poco a poco si compone il corteo.

Le fracchie più piccole sono davanti e vengono trascinate dai ragazzi, seguono uomini e donne con abiti romani che inscenano il tragitto della Via dolorosa  ed infine la Madonna Addolorata, portata a spalle da otto uomini e preceduta dai sacerdoti e dai confratelli, tutti vestiti a lutto.

Sui tetti di San Marco, intanto, scende piano il buio: il crepitio delle fracchie sembra quasi accompagnare il canto mesto dello Stabat Mater; gente semplice e notabili del paese, professionisti e curiosi in cerca di suggestioni, tutti si ritrovano a fissare la Madonna e a partecipare, forse non del tutto consapevolmente al suo dolore. Ma, alla fine del canto, quella devozione particolare della nobildonna sammarchese di inizio secolo rimane visibile anche a noi: al corteo si aggiungono le fracchie grandi, torce accese di 25 quintali!

Lo spettacolo adesso è quasi terrificante: l’aria si riempie di fumo e scintille, le ruote dei carretti stridono, vampate di fiamme e di calore escono dalla bocca della fracchia, solo i fracchisti si muovono con disinvoltura in questo mondo, ora attizzando il fuoco, ora frenando l’andatura, oppure accelerandola per approfittare di una corrente d’aria che si incunea tra i vicoli… Anche se per poco tempo, sono loro i personaggi importanti di questa tradizione secolare!

La sera è ormai inoltrata, l’aria piena di fumo pian piano si va schiarendo,  in cielo si riescono ad intravedere le stelle: quello che resta delle fracchie viene spento, l’Addolorata torna al suo posto: anche quest’anno i crocifissori di Suo Figlio hanno voluto farle luce; soprattutto pure in questo tempo, al di là di tutto, le hanno voluto chiedere, con un gemito misterioso del cuore,  di continuare ad essere quella Madre premurosa che si preoccupa di guidarli alla Luce che non si spegne.


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